Era dalla metà di luglio che su Facebook sono cominciate a comparirmi le sponsorizzate di Lucky Red sul film “Manodopera”. Mi sono incuriosita molto, soprattutto in riferimento al fatto che fosse stato realizzato con tecniche miste e mi sono detta di tenerlo d’occhio.  

Dopo qualche opportuna ricerca, sono andata a vederlo in sala all’Anteo CityLife mercoledì scorso.

Non sapevo molto sul film e devo dire che questo ha contribuito alla sorpresa finale e al senso di meraviglia che ho avvertito in alcuni momenti del film. Il titolo stesso, “Manodopera”, è fortemente evocativo della “potenza” dell’artigianalità del lavoro manuale, che pregna tutti i 70 minuti di questa epopea famigliare.

Una pagina strappata al libro di Storia che si intreccia con la storia familiare del regista. Siamo agli inizi del ‘900 in Piemonte, quando la speranza di una vita migliore spinge Luigi Ughetto e sua moglie Cesira a varcare le Alpi e a trasferirsi con tutta la famiglia in Francia. La pellicola si concentra su temi come l’attraversamento del confine, gli ostacoli delle guerre e le perdite che ne seguono, la paura e l’emozione di ricominciare una nuova vita al di là di quelle montagne, che sono casa. 

Ughetto ha bisogno che questa storia sia sua, di toccarla e plasmarla, di esserci dentro tutto, con le mani e con il cuore. La tecnica che utilizza, la stop-motion, ha in sé tutte le caratteristiche dell’artigianalità: i tempi dilatati, la cura e la pazienza per arrivare al lavoro finale. Solo un amore così profondo può inserirsi all’interno di questi tempi, cosa che ha permesso al regista di raccontare una storia ancora più intima, un dialogo immaginario tra lui e la nonna; una sorta di intervista impossibile per domandarle com’era il mondo che le stava attorno quando lui non era ancora nato o troppo piccolo per ricordare.

In tutta questa artigianalità, fatta di plastilina alta circa 23cm, ci ho rivisto un po’ il mio lavoro e il mio collega scultore e scenografo, Franco Citterio, che, un po’ come Ughetto, ha ereditato la predisposizione per la manualità dal padre e dal nonno e ha deciso di farne il suo lavoro, quello di costruttore e animatore.  

Ma torniamo a “Manodopera”…

Alain Ughetto è un regista che ha vissuto e respirato questa storia, c’è dentro tutto, e ho trovato meraviglioso la sua continua “intromissione” in scena, rompendo la quarta parete per far entrare la sua mano a spostare o porgere oggetti, per fare domande, curioso e affamato di sapere.

Questo gli ha permesso di cercare una verità più profonda nei suoi personaggi, di farli tornare a vivere e innalzarli da sfera di intimità a universalità, rendendo lo spettatore partecipe di un ricordo, di una storia passata che è appartenuta a tanti e che molti non ricordano più.

Lo stesso Ughetto ha detto: «Noi tutti conserviamo dei ricordi di nostro padre, di nostra madre, un po’ dei nostri nonni, ma poi poco altro: tutto il resto appartiene alla Storia. La mia idea era quindi quella di tornare indietro nel tempo, intrecciando la mia memoria familiare ed intima con l’evocazione storica» e io credo sia riuscito in questo, rendendo poetici momenti di profonda tristezza, dolore, paura e gioia, come lo sono i momenti semplici della vita di tutti i giorni.