Ho conosciuto la realtà della Familie Flöz ai tempi universitari. Giovane studentessa universitaria, ero rimasta affascinata dalla semplicità di questo teatro, fatto solo di movimento. Di corporeità. Il loro è un teatro che utilizza un linguaggio del corpo non convenzionale, che, attraverso l’uso di maschere e travestimenti, rivela ciò che è nascosto nell’animo dell’essere umano.

I loro sono spettacoli che prendono vita da un lungo processo introspettivo e collettivo che attraversa differenti discipline teatrali fra le quali il teatro di figura, il teatro di maschera, la danza, la clownerie, l’acrobazia, la magia e l’improvvisazione. Tutte discipline che mi trovavo a studiare, a vivere e scoprire in quegli anni di studentessa.
E quindi, quando ho trovato nella mia casella di posta, l’invito alla prima di “Dr Nest” al Teatro Menotti, ero felicissima.

Lo spettacolo porta sul palcoscenico la vita delirante di una casa di cura per pazienti psichiatrici. Ho trovato romanticamente poetico lo sguardo del nuovo Dr Nest che si spinge oltre la follia, creando rapporti di fiducia e amicizia. Dopotutto, nest significa “nido”. Un porto accogliente, in cui trovare cura, nutrimento, calore, sicurezza entro cui potersi rifugiare e aprire senza paura di giudizio.

Ogni volta che mi trovo al cospetto di uno spettacolo della Familie Flöz (in totale ne ho visti 3) mi stupisco come una bambina che va al teatro delle marionette per la prima volta. Rimango sempre affascinata da come, privati della parola e della mimica facciale, siano in grado di emozionare, far ridere e commuovere. Sono talmente bravi ad usare il loro corpo che quasi quelle maschere sembrano muoversi, sembrano esprimere gioia, dolore, amore. Si avvalgono di mezzi definiti “antelinguistici” poiché le maschere non hanno solo una forma, ma anche un contenuto, che si sviluppa con la maschera e la recitazione, fino all’atto simbiotico con l’attore come risultato finale.

Il loro è un Teatro di Figura dove gli esseri umani diventano burattini viventi capaci di raccontare una storia e trasmettere al pubblico tutti i suoi messaggi senza bisogno di aprire bocca. Ad aiutare gli interpreti giungono i suoni, come, nel caso di “Dr Nest”, il vento, e le luci. Ancora più importanti le musiche con tanto di piano e theremin suonati dal vivo sul palcoscenico. Una menzione meritano anche le scenografie perfette nel ricreare l’ambientazione di una clinica psichiatrica: porte che si aprono e si chiudono, personaggi che entrano ed escono, pezzi che si smontano e rimontano subito dopo, che ruotano, girano, proiettano, che ti fanno girare la testa e cominci a pensare che forse anche tu sei ricoverato lì. Cominci a ragionare su te stesso, sulle tue piccole pazzie quotidiane.

Succede così che questi attori con pochi gesti riescono a mostrare all’esterno, quello che non va all’interno, i drammi, i problemi, i sentimenti. Ma non i loro, quelli di tutti.

Se vi capita, andate a vederli. Non ve ne pentirete.

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